Editoriale di Francesco Scoppola

    

Nel pieno della riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, conseguente all’entrata in vigore, il 10 dicembre scorso, del DPCM 29 agosto 2014 n. 171 pubblicato in G.U. il 25 novembre successivo (in applicazione di tale norma, a seguito del decreto di conferimento del 23 dicembre 2014, chi scrive si trova ad assumere il ruolo di Direttore Responsabile della rivista), esce questo ventunesimo numero della VII serie del Bollettino d’Arte del Ministero stesso, che è anche il primo stampato e distribuito da «L’Erma» di Bretschneider. In precedenza avevano operato, inizialmente il Poligrafico dello Stato, poi la Casa Editrice Leo S. Olschki, da ultimo De Luca Editori d’Arte.
Il primo saggio, di Germana Vatta, affronta lo studio di un ritratto mutilo risalente probabilmente all’inizio dell’età giulio–claudia, perduto e ora ritrovato. Forse si tratta della testa di Gaio Cesare, figlio adottivo di Augusto. Nel bimillenario della morte del primo imperatore, appena trascorso, assume particolare interesse questo approfondimento di una vicenda nepesina. La testa detta di Augusto, capite velato, fu trafugata infatti da Nepi, dove era conservata nel portico del Palazzo Comunale. Il pezzo era stato catalogato dalla Soprintendenza per i beni storico–artistici di Roma nel 1971, ma era già stato in precedenza fotografato dall’Istituto Archeologico Germanico. Attualmente — qui è il riconoscimento operato — la testa si trova nei Musées Royaux d’Art et d’Histoire a Bruxelles, dove sarebbe giunta attraverso l’acquisto da una collezione privata (era stata esposta in una mostra a Zurigo nel 1974). Si sta già operando per la restituzione.
Paolo Cova propone nuove indagini sulla pittura murale gotica in riferimento all’opera di Jacopo Benintendi detto “il Biondo” nel San Domenico di Bologna, condotte sull’affresco distaccato dalla cappella di San Michele (sede della sepoltura marmorea di Taddeo Pepoli e forse anche del Polittico degli angeli di Giotto) e sulla sinopia: cioè sul dipinto raffigurante San Tommaso d’Aquino e probabilmente Sant’Antonio Abate. Le analisi attributive conducono a contatti fra il Trecento bolognese e la scuola di Giotto.
Si torna al bimillenario augusteo con Graziella Becatti, che, a partire dal tempio di Marte Ultore nel Foro di Augusto a Roma, presenta alcune riflessioni sulla Roma antica presso gli umanisti. L’architettura classica viene indagata nelle sue riverberazioni rinascimentali. Disegni di Pirro Ligorio, Leonardo Bufalini, Antonio da Sangallo il giovane, Sallustio Peruzzi e Palladio paiono echeggiare, nella vasta esedra del Foro di Augusto, anche altre analoghe architetture successivamente perdute, ma ancora in parte visibili nel secolo XVI, come ad esempio l’esedra sul Pincio contigua al tempio del Sole Invitto. Il tempio di Marte Ultore ha recentemente acquisito maggiore e più diffusa notorietà a seguito delle attività divulgative svolte nel 2014 per iniziativa del Comune di Roma e ad opera di Piero Angela; ma non si trova cenno al suo orientamento, che è precisamente ortogonale a quello della massima oscillazione, del punto di arresto sulla linea dell’orizzonte dell’alba al solstizio d’estate e del tramonto al solstizio invernale. E se è vero ed evidente che si tratta dell’orientamento non del solo tempio di Marte Ultore ma di tutti i fori imperiali, va pur considerato che tale orientamento, che oggi possiamo constatare esattamente speculare a quello della “Roma quadrata” di Romolo sul Palatino (che ricalca l’alba invernale e il tramonto estivo), viene prescelto e fissato da Cesare e da Augusto. Non si tratta di una speculazione eterogenea al periodo considerato: tutt’altro. Vitruvio dedica infatti molte pagine del suo trattato all’orientamento degli edifici e delle strade, abbandonando i punti cardinali.
Barbara Agosti e Maria Rosa Pizzoni muovono da una notizia del padre Resta sulla Presentazione di Maria al tempio di Baldassarre Peruzzi in Santa Maria della Pace, ancora a Roma. Qui la sorpresa maggiore consiste nel vedere effigiato in sintesi più di un emblema sistino (pare di poter riconoscere elementi riferibili ad obelisco e tempio tondo, al Settizodio, al tempio della Sibilla a Tivoli) con cinquanta anni di anticipo sul pontificato di Felice Peretti. Ovviamente non c’è che trarne una considerazione circa l’ulteriore evidenza di quanto l’iconografia sistina abbia abbondantemente attinto alla produzione precedente e all’opera dell’artista senese in particolare.
La ritrovata Discesa dalla croce di Giovan Francesco Romanelli, una delle ultime sue opere, dipinta per Sant’Ambrogio alla Massima a Roma (un particolare è in copertina di questo numero), è stata riconosciuta, col soccorso di un disegno conservato agli Uffizi, nel Palazzo Reale di Aranjuez presso Madrid, in Spagna, da Gonzalo Redín Michaus e viene qui indagata: il pittore viterbese, che passò rapidamente dalla committenza laziale e romana a quella delle maggiori corti d’Europa, mostra anche in quest’occasione una ampiezza di spazi, una dinamica e un respiro d’aria e di luce senza precedenti. Nella sua Deposizione si avverte certo l’eco di opere coeve, ma anche quella di precedenti capolavori, specie nei colori, nel movimento dei corpi e delle vesti, come nel caso perugino di Federico Barocci.
Alla cappella dei Santi Primo e Feliciano entro Santo Stefano Rotondo a Roma e all’intervento di Filippo Barigioni per il cardinale Antonio Saverio Gentili, si rivolge con metodo comparativo Aloisio Antinori. Il restauro è avvenuto recuperando la sostruzione della cappella del secolo XVIII, ma riproponendo i colori e i toni dell’affresco di mille anni prima. Anche in questo caso si dà voce agli archivi, con nuovi significativi ritrovamenti di documentazione inedita relativa anche al “restauro” concluso nel 1736.
Mauro Pratesi, guardando alla prima metà del secolo XX, propone uno scritto dimenticato di Roberto Longhi sul Cinema–Teatro Corso di piazza San Lorenzo in Lucina a Roma, opera di Marcello Piacentini con ornati di Arturo Dazzi e Alfredo Biagini: esso è stato recentemente trasformato in spazio commerciale e il saggio, oltre ad offrire una preziosa documentazione dell’opera perduta, pone indirettamente il problema della tutela del moderno e del contemporaneo. Si tratta di un tema di straordinaria attualità: dopo un lungo periodo di artificiosa e sterile contrapposizione tra tutela e arti contemporanee, proposte e percepite quasi come antitetiche, queste ultime pure richiedono invece oggi adeguate forme di tutela, che dovranno essere opportunamente definite.
Il Coordinatore scientifico del Bollettino, Lucilla de Lachenal, offre un’approfondita riflessione sul rapporto con l’antico nel medioevo, indagando il reimpiego in Arnolfo di Cambio e considerando l’influsso di Nicola apulo e dei Cosmati nell’opera dello scultore: soprattutto nel monumento funebre del cardinale de Bray a Orvieto, nella costruzione dei due cibori in San Paolo e Santa Cecilia e nella tomba di Bonifacio VIII, con riuso di pezzi antichi. Numerose le sculture — a partire dalla statua onoraria di Carlo d’Angiò dei Capitolini — qui indagate minutamente, anche nelle tecniche di svuotamento interno e di alleggerimento dei gruppi lapidei. A proposito poi delle due statue di San Pietro, spesso confuse tra loro, e qui entrambe approfonditamente esaminate, quella in bronzo sarebbe tuttavia precedente e risalirebbe all’epoca di Nicolò III, secondo V. Pace. Lo studio presenta anche utili considerazioni sulla natura incongrua di frequenti “ripristini”, come nel caso delle strigilature di un antico sarcofago di reimpiego che a Viterbo, nel San Francesco, dopo la guerra sono tornate in vista, occultando quanto apparteneva invece all’opera cosmatesca coerente col monumento funebre di Clemente IV.
Anna Melograni, a proposito di collezioni e collezionisti, presenta due fogli con miniature (entrambe interne a un capolettera) conservate, anche se non esposte, nella casa di Giorgio Morandi in via Fondazza a Bologna. Furono acquisite ad opera di un amico del pittore, il collezionista Luigi Magnani: una Pentecoste del primo maestro di San Domenico, detto anche ‘del Seneca’, e un raro soggetto di Cristo creatore delle stelle attribuibile a Bertolino de’ Grossi. In proposito è richiamata anche la corrispondenza tra Magnani e Piero Toesca.
Con una recensione di Claudio Barberi sulla mostra di architettura Studio Celli Tognon 1964–1996: 33 anni di progetti, tenutasi a Trieste, e con i consueti apparati di promozione della rivista, costituiti dagli abstracts in lingua inglese dei diversi contributi e dalla pagina pubblicitaria, si conclude questo numero (che nel trattare di argomenti prevalentemente romani offre una straordinaria opportunità di stabilire interrelazioni tra i diversi contributi proposti): cambia un poco la veste esterna, mentre varia ancora — lo si è detto — la stampa e la distribuzione, nella immutata continuità di impegno della Redazione.