Antonio Cuccia: Francesco Trina: La singolare esperienza di uno scultore veneziano del legno in Sicilia

    

Estratto dal volume speciale: Scultura lignea. Per una storia dei sistemi costruttivi e decorativi dal Medioevo al XIX secolo

Francesco Trina (documentato fra il 1501 e il 1520) scultore del legno, veneziano, reso noto da Gioacchino Di Marzo nel capitolo dedicato agli scultori in legno, della sua monumentale opera sui Gagini, è documentato per la prima volta in Sicilia nel 1501, per un ‘Crocifisso’ commissionato dai monaci Benedettini dell’Abbazia di San Martino delle Scale, vicino Palermo, e nel 1502 per la «mostra dell’organo» del duomo normanno di Monreale, officiato dalla stessa Congregazione. Gli stretti rapporti esistenti, allora, tra il Monastero siciliano e quello pure benedettino di Santa Giustina a Padova, autorizzano l’autore a formulare l’ipotesi che proprio i Benedettini abbiano costituito il tramite del trasferimento dello scultore a Palermo. Del resto, proprio il ‘Crocifisso’ di San Martino delle Scale denuncia un’estrazione padovana nell’impostazione classicista, debitrice di esiti donatelliani e mantegneschi. La realizzazione di crocifissi costituirà per il Trina un fortunato filone con delle varianti legate alla richiesta del committente, come per il ‘Crocifisso’ della chiesa madre di Bivona, per il quale lo scultore adotta uno schema tardo-gotigo adeguandosi al carattere penitenziale e rigorista richiesto dalle confraternite. Punta invece sul dato espressionistico d’estrazione squarcionesca nel ‘Crocifisso’ realizzato nel 1513 per la confraternita agostiniana di San Gregorio al Capo, a Palermo. In seguito lo scultore si trasferisce nel centro agrigentino di Bivona, per approdare infine nell’agosto del 1513 a Castelbuono, sulle Madonie, allora principato dei Ventimiglia. Quivi alla produzione di crocifissi, lo scultore associa la realizzazione di statue di santi, già sperimentati a Palermo, con il bel ‘San Giovanni Battista’ della chiesa madre di Castelbuono, che gli viene attribuito per l’imposto iconografico di ascendenza lombardo-veneta e per lo spirito mantegnesco che lo anima. A Isnello gli viene riconosciuta la solare statua di ‘San Sebastiano’, con policromia documentata nel 1510 al pittore Mario di Laurito. L’opera evidenzia chiaramente la sua derivazione dal ‘San Sebastiano’ dipinto da Antonello da Messina, ora a Dresda, dai risaputi esiti veneti, comuni ad entrambi gli artisti.
Particolarmente incisivo si rivelerà il ruolo svolto dal Trina nel territorio madonita, già di per sé fertile, sia nella trasmissione di modelli iconografici d’oltralpe, come la «macchina del Calvario» di Collesano, o la creazione della figura dell’‘Assunta dentro una mandorla’, foggiata a radica d’albero, della quale è documentata l’autografia a Bernardo Colloca. Questi, riconosciuto allievo del Trina, la realizzò nel 1525, durante il soggiorno castelbuonese, a seguito del maestro. Grazie ad una attiva bottega, il Trina lasciò i segni della parlata veneta nelle decorazioni da gusto antiquario, degli organi, degli stalli corali e della carpenteria dei polittici, compreso quello gigantesco che campeggia nel presbiterio della Matrice Vecchia di Castelbuono.


Francesco Trina: the singular experience of a Venetian wood sculptor in Sicily

The Venetian wood sculptor Francesco Trina (documented between 1501 and 1520), cited by Gioacchino Di Marzo in the chapter dedicated to wood sculptors in his monumental work on Gagini, is documented for the first time in Sicily in 1501 through a commission for a crucifix issued by the monks from the Benedictine Abbey of San Martino della Scale near Palermo, and in 1502 for the “display of the organ” in the Norman cathedral of Monreale, officiated by the same congregation. The close relationship at this time between this Sicilian monastery and the Bendictine monastery of Saint Justine in Padova has led the author of this article to believe that it was the Bendictines themselves who organised the sculptor’s transfer to Palermo. And, in fact, the Crucifix of San Martino delle Scale in its classical structure and its debt to the work of Donatello and Mantegna shows the influence of the Paduan cirlcle.
Crucifixes were for Trina a happy line of work with variations tied to the commissioner’s requests, such as the Crucifix for the mother church in Bivona for which the sculptor adopted a late gothic scheme, in keeping with the confraternity’s penitential and rigorist character. In 1513, he aimed at an expressionistic style reminiscent of Francesco Squarcione for a crucifix for the Agostinian confraternity of San Gregorio al Capo in Palermo. Subsequently, the sculptor moved first to Bivona in Agrigento, landing finally in Castelbuono in the Madonie mountains in 1513, the seat of the princes of Ventimiglia. There, in addition to crucifixes, he combined statues of saints based on precedents already developed in Palermo with a beautiful statue of Saint John the Baptist for the mother church of Castelbuono, which was attributed to him on account of its Lombard and Venetian iconographical imprinting, as well as the Mantegna–like spirit that animates the piece. The radiant Saint Sebastian at Isnello is also attributed to Trina, while its polychromy was documented in 1510 as the work of painter Mario di Laurito. This work clearly shows its derivation from the Saint Sebastian painted by Antonello da Messina, now in Dresden. This is not surprising given the well–known Venetian influences common to both artists. 
Trina’s impact in the Madonie mountain area proved especially significant, considering his already fertile influence both in transmitting transalpine iconographic models, such as the “macchina del Calvario” in Collesano, and in creating the figure of Our Lady of the Assumption framed entirely within an almond–shaped halo (Assunta dentro una mandorla) moulded in burl wood, in which is documented Bernardo Colloca’s autograph. The latter was a known student of Trina’s, who must have produced it in 1525, during a sojourn in Castelbuono with his maestro. Thanks to his active workshop, Trina left traces of the antiquarian Venetian ‘language’ in the decorative arts, in organs, in choir stalls and in the carpentry of polittici (polyptychs), including the giant one that dominates the presbytery of the Matrice Vecchia di Castelbuono.