CATERINA BAY-MARIA FALCONE: Dallo smembramento alla ricostruzione. Il polittico tra storia materiale, museografia e critica

    

Lo studio affronta l’intreccio delle vicende materiali, museografiche e critiche del polittico realizzato da Simone Martini per l’altare maggiore della chiesa di Santa Caterina d’Alessandria a Pisa, dallo smembramento alla ricomposizione in varie facies, fino alla proposta formulata nel 1971 e 1977 da Antonino Caleca, definitivamente confermata dal restauro concluso nel 2015. Le fonti documentarie, in parte inedite, ricavate dall’esame del fondo archivistico del convento domenicano e confrontate con le notizie tratte dagli Annales cinquecenteschi, hanno permesso di acquisire nuove informazioni in merito all’allontanamento dell’opera dal luogo deputato avvenuto intorno al 1550, nell’ambito dei lavori di rinnovamento che coinvolsero l’area presbiteriale dell’edificio. La rimozione ha comportato lo smembramento del polittico e, al contempo, ha avuto un fondamentale risvolto conservativo, dal momento che l’opera, se non fosse stata ritirata, non avrebbe potuto salvarsi dall’incendio che la notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre 1650 devastò la zona dell’altare maggiore, come attestano le cronache dei contemporanei. Nel 1835 Ernst Förster e Ettore Romagnoli con Johannes Gaye, furono i primi ad accorgersi della firma sul pannello centrale e a riconoscere nelle tavole — allora divise tra il Seminario di Santa Caterina e l’Accademia di Belle Arti di Pisa — i resti del polittico dipinto dal maestro senese. Nonostante gli auspici da più parti espressi e i vari tentativi di ricomposizione ipotetica, si dovette attendere ancora più di un secolo per arrivare al ricongiungimento fisico degli elementi, avvenuto solo nel 1946 in occasione della Mostra della Scultura Pisana del Trecento, allestita negli spazi di quello che diventerà il Museo Nazionale di San Matteo, inaugurato nel 1949. Da allora si sono succedute altre ricostruzioni documentate dalle foto storiche, fino alla svolta con la proposta di Caleca sopra ricordata, non subito accolta da parte della critica, ma infine convalidata dalle indagini diagnostiche effettuate in occasione di questo restauro.


                                   From its dismemberment to being put together again. The polyptych for the Church
                                of Santa Caterina of Simone Martini, its material, museographical and critical coverage


This paper assesses the mix of material, museographical and critical coverage of Simone Martini’s polyptych for the High Altar of the Church of Santa Caterina d’Alessandria in Pisa. This goes from its dismantlement to gradual reassembly over time, concluding in Antonino Caleca’s hypothetical reconstruction, which he put forward between 1971 and 1977. Said hypothesis was definitively confirmed following the 2015 restoration of the piece. Documents from the Dominican monastery archives, some as yet unpublished, have been analysed. These have been compared with the sixteenth century Annales. New information came to light over the work being removed from where it had originally been placed in around 1550. This was as part of renovation work on the church presbytery. Its removal meant that the polyptych was dismantled. The move was fortuitous, given that local chronicles of the time report that on the night of October 31, November 1, 1650, the High Altar was devastated by fire. Ernst Förster and Ettore Romagnoli, along with Johannes Gaye, were the first to recognise the artist’s signature on the central panel in 1835. At the time the various pieces of the Sienese maestro’s polyptych were divided between the Santa Caterina Seminary and Pisa’s Accademia di Belle Arti. In spite of the encouragement of many, and various attempts to put the pieces back together, over a century went past before it took place. The pieces came together for the 1946 Exhibition of Pisan Sculpture from the 1300s. The exhibition took place in what was to become the Museo Nazionale di San Matteo in 1949. Further reconstructions were to follow, documented in photographs, climaxing in Caleca’s hypothesis, mentioned above. This wasn’t immediately taken on board by the critics, but has since been verified by technical diagnosis during the recent restoration.